SCRITTORI E GUSTO URBANO FRA SETTECENTO E OTTOCENTO
di: Francesco Iengo a cura di Mario Della Penna
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Capitolo IV

INCOMPRENSIONE SETTECENTESCA DI SIENA

ll profondo "antinaturalismo" dei canoni urbano settecenteschi, pone quasi tutti gli osservatori del tempo nella condizione di non comprendere, in generale, una realtà, per esempio, come quella di Siena.

In una intervista del 1981, l'architetto Giovanni Michelucci così dice a proposito della Piazza del Campo (che costituisce il cuore non solo "ideale" ma proprio architettonico del sistema urbano della città):

«(Ci si può chiedere) come mai la Piazza del Campo [...] è sempre così piena di gente che siede sulla fontana o per terra, sulla pavimentazione di mattoni, o passeggia vagabondando. (Il fatto è che) mentre nella struttura viaria della città è impresso il senso del transito, essa - la piazza - ha quello della sosta. Il senso, cioè, di un luogo in cui si ritrovano sia i cittadini sia chi viene da lontano per far mercato o per conoscere la città e le infinite opere d'arte ch'essa conserva [...] Io mi sono domandato spesso da cosa provenga, da quale elemento sia determinato, il fascino di questa piazza; e mi sembra di aver capito il motivo. Essa, anzitutto, è stata costruita conservando la struttura naturale da cui è stata ricavata: il punto di confluenza delle colline circostanti» (60).

Ora, anche a non voler troppo rilevare quella pavimentazione a mattoni, e il "materiale" in genere con cui sono fatti i palazzi che circondano la piazza - cose tutte già decisamente contrarie al gusto settecentesco come sappiamo -, mi pare sia proprio l'ultima specificazione di Michelucci a chiarirci come mai quel gusto non possa apprezzare un manufatto pur così eccezionale. Si tratta del solito pregiudizio geometrizzante, che intende espellere dal costruito, non solo qualsiasi traccia di, ma anche qualsiasi "allusione" a, quanto costruito non sia. Piazza del Campo non piace, così, al Settecento proprio perchè costituisce la semplice pavimentazione (e cioè la semplice "presa d'atto") d'un luogo precostituito dalla "natura", ovvero il luogo dove, appunto, le colline circostanti confluiscono.

E difatti, per Montesquieu nel 1728, Piazza del Campo è solo "abbastanza bella, con una fontana bellissima; e dato che è concava, a forma di conchiglia, vi possono mettere l'acqua quando vogliono" (61).

Dal canto suo, de Brosses, nel 1739, nota bensì il Palazzo di Città (che Montesquieu non nomina nemmeno), ma lo giudica semplicemente "un vecchio edificio che non ha niente di notevole, o almeno di curioso", e quando alla Piazza nel complesso, dice così:

«La piazza pubblica ha una forma particolare: è fatta quasi come una conchiglia, o come una tazza. Si può riempire d'acqua quando si vuole per mezzo di una grande e abbondante fontana che è sulla parte alta, ed allora si può passeggiare sulla piazza in barchetta, mentre le carrozze dal canto loro passeggiano sugli orli e tutto intorno alla piazza» (62).

Nè più maturo, in proposito, sembra Sade nel 1775:

«La piazza di Siena presenta una forma curiosa: è una conchiglia. Forse per il terreno? Forse fu per il desiderio di riempirla d'acqua per spettacoli di naumachia, che la si è voluta costruire così? Lo ignoro. Tutto intorno vi è un terreno piatto, lungo il quale passano le vetture. Se si dessero spettacoli in questa piazza, questa strada piatta che la circonda sarebbe molto favorevole agli spettatori» (63).

Manco a dire, poi, di Vittorio Alfieri, il quale ricorda Siena (vista nel 1766) in particolare per la "favella" dei suoi abitanti così "soave, elegante, propria e breve", trovando modo di fare solo un rapidissimo, quantunque significativo, accenno alla sua architettura:

«Il locale (leggi: la topografia irregolare della città) non mi piacque gran fatto» (64).

E perfino quarant'anni dopo, quasi a metà Ottocento (esattamente nel 1845), Dickens, su Piazza del Campo, ha una nota che potrebbe benissimo appartenere anch'essa alla sensibilità del secolo precedente:

«La mattina dopo, per tempo, andammo a vedere [...] la piazza del mercato o Piazza grande, che è assai ampia ed è ornata da una grande fontana col tubo di getto rotto» (65).

Non una parola di più.

Rispetto alla moderna interpretazione di Michelucci, dunque, caratteristici, in particolare, di Montesquieu, de Brosses e Sade, sono, intanto, il paragone della Piazza con una cosa (la conchiglia, la tazza - la fantasia di questi personaggi è evidentemente sempre più imprigionata in un universo di oggetti), e in secondo luogo (e di conseguenza), un'interpretazione della Piazza stessa che è l'opposto di quella di Michelucci: per Michelucci la Piazza è luogo di sosta e d'incontri, per il Settecento sosta e incontri possono avvenire, al più, sulla "strada piatta" che circonda la Piazza, dal canto suo concepita nient'altro che come luogo di spettacoli. L'antitesi è totale.

E dire che (come rileva Cesare De Seta (66) una notevole interpretazione del sistema urbano senese, c'era già stata nel tardo Cinquecento francese. Scrive, infatti, Michele De Montaigne nel 1581:

«Siena rientra nel novero delle belle città italiane (...). La miglior parte della città si è la piazza rotonda, assai grande e incurvantesi verso il palazzo che costituisce uno dei lati di essa rotondità, ma meno curvo del resto. Di fronte al palazzo, e nel punto più elevato della piazza, esiste una bellissima fontana che, grazie a vari getti, alimenta una vasca dove tutti attingono un'acqua magnifica. Parecchie strade vengono a sfociare in questa piazza per mezzo di pendii gradinati (...) La piazza di Siena è la più bella che si vedda in nissuna altra città» (67).

Evidentemente, è anche a letture come questa che si rifarà, saltando letteralmente il Settecento, quella di Michelucci.

Ma perchè questo ricongiungimento avvenisse era necessario, anzitutto, mettere in discussione l'universo geometrico e "oggettuale" del Settecento: era necessario, insomma, il Romanticismo.

E del Romanticismo, specificamente in quanto concezione dell'architettura come prolungamento o, comunque, come non contraddizione della natura, vale la pena di ricordare, già a questo punto, qualche tipico esempio, che chiediamo, in particolare, allo Stendhal romano del 1828, il quale, parlando, poniamo, delle ville gentilizie che all'epoca circondavano Roma, accenna a "la plus belle union des beautès de l'architecture e de celles des arbres", (68) mentre, a proposito della disposizione della città sui Sette Colli, scrive che "les collines èlèvèes qui dans Rome bordent le Tibre, forment des vallèes tortueuses et profondes. Les labyrinthes produits par ces petites vallèes et les collines semblent disposès, suivant le mot du fameux architecte Fontana, pour donner lieu à l'architecture d'ètaler ce qu'elle a de plus beau" (69) - cosicchè gli è facile apprezzare una piazza come quella del Quirinale (allora di Monte Cavallo), che, quanto a "irregolarità", non ha niente da invidiare alla piazza senese: "En revenant de la villa Ludovisi, nous nous sommes arrêtés longtemps sur la place de Monte-Cavallo, qui nous semble l'une des plus belles de Rome et du monde. Elle est fort irrégulière; c'est là le reproche qui lui font les nigauds à goût appris" (70).

Così, Stendhal è anche colui che a Siena trova - dove ancora un Dickens non troverà nient'altro che "tristezza", proprio come il vecchio de Brosses - "plus de gaietè" che in altre rinomate città italiane (71). Che questo giudizio non dipenda anche dalla sua nuova comprensione dell'architettura come non contraddizione della natura?

Comunque, un altro esempio d'una simile comprensione, e relativo proprio alla Piazza del Campo, va ricordato in un passo, almeno, di Hippolyte Taine del 1864, anche se Taine vi apprezza l'architettura più per le sue "impossibilità" che per le sue "consapevolezze":

«Una città (Siena) conservata in tal modo è come una Pompei medievale. Si sale e si scende attraverso erte e strette, lastricate di pietra, fiancheggiate da case monumentali. Alcune di esse hanno ancora la loro torre. Nei pressi della piazza, esse si seguono in lunghe file, allineando le loro bugne minacciose ed enormi, i loro portici bassi, le sorprendenti masse di mattoni perforate da rare finestre. Molti palazzi hanno l'aspetto di fortezze. La Piazza non è completamente fiancheggiata; e non si può trovare uno spettacolo più opportuno a richiamare all'immaginazione i costumi municipali e violenti del tempo antico. Questa piazza è asimmetrica e diseguale nel livello del suolo, strana e suggestiva come tutte le opere naturali che la mano dell'uomo non è riuscita a trasformare nè a riformare» (72).

E' chiaro per quali meandri si giunga, alla fine, all'interpretazione di Michelucci.


(60) GIOVANNI MICHELUCCI, Intervista sulla nuova città, a cura di FABRIZIO BRUNETTI, Bari, Laterza, 1981, p. 33

(61) MONTESQUIEU, Viaggio in Italia, cit., p. 156.

(62) CARLO GOLDONI, op., cit., vol. II p. 421 (parte III, cap. I)

(63) CHARLES DE BROSSES, op. cit., p. 234.

(64) SADE, op. cit., p. 102.

(65) VITTORIO ALFIERI, op. cit., p. 153.

(66) CHARLES DICKENS, op. cit., vol. I, p. 80.

(67) CESARE DE SETA, op. cit., p. 174.

(68) MICHEL DE MONTAIGNE, op. cit., pp. 140-141.

(69) STENDHAL, Promenades dans Rome, cit., vol. I, p. 46.

(70) Ibid. p. 104

(71) Ibid. p. 234

(72) Ibid. p. 100

(73) HIPPOLYTE TAINE, Viaggio in Italia, a cura di ATTILIO ROGGERO, Torino, UTET, 1932, p. 134


Theorèin - Giugno 2006